lunedì 10 agosto 2009

Le follie dell'imperatore

Mentre Papino il Breve straparla e delira in evidente overdose da egocentrismo patologico, Bossi, come sempre, indica la direzione al suo governo. Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: non è giusto che la vita sia più cara in certe aree geografiche piuttosto che in altre, e siamo favorevoli alle gabbie: non a quelle salariali, ma a quelle in acciaio ben resistenti ad urti ed intemperie, all’interno delle quali rinchiudere questi leghisti per toglierceli un po’dalle palle. In questo periodo, infatti, appaiono particolarmente frenetici e molesti e sotto la loro scure sono caduti via via: l’inno nazionale, la bandiera tricolore, i professori terroni, la lingua italiana, il romanesco nelle fiction, gli stranieri di ogni ordine e grado, gli stipendi dei meridionali. Senza privarsi, come sempre, del classico dei classici: morte a Roma ladrona. Peccato che nessuno abbia la forza di ricordargli, come noi nel nostro piccolo facciamo da tempo, che essendo questo paese saldamente nelle mani del Gregge delle libertà, Roma ladrona, oggi, siano soltanto loro. L’iperattivismo leghista rende ancor più patetici i patrioti del partito del sud: promettevano catastrofi, come al solito si sono accontentati di un piatto di lenticchie. E Papino, il premier più centralista del mondo come ogni piccolo ducetto che si rispetti, alla faccia del federalismo ha dichiarato che la futura cassa del mezzogiorno sarà gestita da lui in persona: cioè da Roma, cioè da Bossi. Qualcuno tra gli amici meridionali saprebbe spiegarmi il motivo che spinge milioni di cittadini residenti a sud della via Emilia a votare per quella coalizione di governo che, apertamente, li disprezza?
Ma l’iperattivismo leghista rende ancora più sconvolgente l’afonia della presunta opposizione. Nel Piddì l’ unica preoccupazione sembra essere l’affilamento delle armi in vista del congresso, in linea del resto con la migliore e più radicata tradizione della sinistra, secondo la quale il vero nemico è quello che risiede al tuo fianco. Proposte? Zero. Insulti a Di Pietro, che è l’unico che provi ogni tanto a sbattere i pugni sul tavolo? Una marea. Insomma, non ci resta che sperare in Gianfranco Fini. Memorabili le sue parole sull’immigrazione, condivisibili le sue posizioni sul testamento biologico, impeccabile il suo atteggiamento sulla pillola abortiva. Perché non provare a candidare anche lui alle primarie del Piddì? Chissà che un giorno il servo non riesca a spezzare le catene del ducetto di Hardcore? Chissà che l’agnello non ce la faccia a diventare lupo? Riuscirà mai questo centrodestra a smetterla di essere prigioniero di un satiro con la sua corte decadente e lussuriosa? Avremo mai nel nostro paese una destra seria, non una carovana di pagliacci, non dico da votare (questo mai!), ma quanto meno da rispettare? Purtroppo sperare in tutto ciò è come illudersi che Papino il Breve possa un giorno diventare casto ed onesto: semplicemente impossibile!