martedì 2 marzo 2010

La dura legge del tramezzino

Di fronte a catastrofi organizzative come quelle del Lazio ( ma anche nell’efficientissima Lombardia il casto esercito ciellino non è che sia messo molto meglio) viene spontaneo chiedersi come un cittadino dotato di buon senso possa pensare solo lontanamente di affidare un governo regionale a persone incapaci perfino di presentare regolarmente una lista elettorale. E speriamo che adesso qualcuno del gregge non se ne esca fuori con la storiaccia di Marrazzo e dei trans, altrimenti risponderemmo d’istinto con le escort e le veline, con i “buchi” di Storace, con Mills e con Ciancimino, con Dell’Utri , Di Girolamo e Cosentino, con le prescrizioni e le “leggine ad personam” e finiremmo ancora una volta col parlare sempre delle stesse cose ( non è certo colpa nostra se dal 1994 Cicciolino racconta sempre le stesse frottole solo con un po’ di chili e di capelli in più, e la politica italiana evolve con il passo del gambero ed il ritmo di un moviolone). Nel frattempo, dismesso rapidamente il vestitino rosso sindacato che faceva tanto “politically correct”, la signorina Silvani Polverini vien dal Fascio ha prontamente rispolverato il più congegnale look cafonal trash iperaggressivo così diffuso in determinati ambienti dell’estrema destra urbana capitolina tutta duce, amatriciana e curva nord. Al netto della propaganda elettorale, speriamo che la “lady de fero” abbia almeno capito una volta per tutte che è da pazzi ficcare il proprio destino nelle manone ruvide di un fantomatico autista della municipalizzata locale politicizzato e nostalgico di Hammamet, esponente cioè di un’ assai poco nobile stirpe transitata dall’internazionale socialista alla destra più populista, becera e xenofoba del vecchio continente con la stessa disinvoltura con la quale ingurgita un panino alla porchetta ed un fiasco di Frascati. Questo individuo, antropologicamente sintesi perfetta tra Bombolo, un cugino dei Cesaroni e la controfigura del compianto Mario Brega (l’indimenticabile “Er principe” di Verdone), evidentemente aveva iniziato la sua giornata di gloria non immaginando neanche lontanamente di poter inciampare su una cosa per lui totalmente sconosciuta: le regole. Viene da chiedersi a questo punto se la destra avrebbe frantumato i santissimi perfino al capo dello stato se ad arrivare fuori tempo massimo fossero stati i radicali: le regole democratiche a targhe alterne evidentemente le invocano solo quando gli fanno comodo. Comunque la giornata del prode era iniziata con la solita, delicata telefonata alla sua azienda per comunicare l’ennesima assenza dal servizio(“Nun me rompete li coijoni, c’ho da lavora’pe’ Sirvio”). Dopo essersi alzato praticamente all’alba giusto per l’occasione, cioè attorno alle 11 del mattino, la consueta colazione energetica con cappuccino e cornetto doppio quindi puntatina di rito all’edicola per la solita rassegna stampa a base di “Corriere dello sport”, “Galoppo e trotto” e “Libero” ( ottimo per fare il ruttino), dopodiché passaggio al circolo delle libertà per il ritiro delle sacre liste. Non prima, ovviamente, di un altro caffettino e di una mano a scopa col segretario di sezione. A quel punto di corsa verso l’ufficio elettorale, che il prode raggiunse comodamente circa cinque minuti prima della chiusura del’apposito sportello. Indeciso sulla composizione della lista, e probabilmente memore per qualche istante dei suoi trascorsi di compagno, il messo del Signore pensò bene di uscire fuori sede per modificare un po’ le candidature, magari depennando qualche odiato finiano sostituendolo con vecchi compagni craxian berlusconian pidduisti. Rientrato serenamente nell’ufficio, facendosi sentire i morsi della fame ed in assenza di due bei rigatoni alla pajata con inevitabile coda alla vaccinara, l'eroico non seppe resistere alla tentazione di un gustoso tramezzino. Dopodiché, ampiamente superato il termine ultimo stabilito dalla legge, con grande stupore e costernazione il poveretto trovò lo sportello chiuso e quattro checche accannate pronte a pretendere il rispetto di quella robaccia strana (“Fregole? Regole? Ma de che cazzo state a parla’?”). La frittata ormai era fatta: Il berluschino (circa 115 chili di peso, asciutto e senza vestiti) balbettava su fantomatiche aggressioni fisiche subite dai radicali: quattro non violenti, gandhiani, vegetariani ed anoressici in sciopero della fame da quarantacinque giorni ( “Se so’ sdraijati e nun me faceveno passa’!”. Disse l’omone, omettendo però di aggiungere che li aveva stesi lui stesso a suon di sberle). Tutti intanto a destra pronti protestare nel nome di quella democrazia che in realtà consisterebbe esattamente nel rispetto delle regole che dovrebbero valere per tutti: grandi e piccoli, bianchi e neri, uomini e donne. Ma loro la intendono evidentemente solo come la solita legge del più forte, e meno male che la Silvani Polverini Vien Dal Fascio faceva pure finta di essere una sindacalista! Papino il Breve, come sempre, adesso pensa alla solita leggina ad hoc, tanto il parlamento gliene sta già sfornando una tonnellata tutte assieme: cosa volete che sia una in più? Nel frattempo però Bossi e Casini li pigliano malignamente per il culo, mentre Fini si accorge, e si degna anche di farcelo sapere, che il Pdl così com’è non gli piace mica tanto. Peccato che lo sosteneva anche ai tempi del predellino, quando parlò di “comiche finali” e gridò che non ci sarebbe mai entrato: abbiamo visto tutti poi com’ è finita.
In questo clima infuocato, mentre anche Formigoni rischia di non potersi candidare per la quindicesima volta a governatore della Lombardia in spregio a qualunque regolamento, anche i dirigenti Rai hanno capito benissimo che la misura è ormai colma. Dunque sotto a chi tocca con il giornalismo d’inchiesta contro il malaffare, la corruzione, il malgoverno, le bugie, le candidature impresentabili, gli scandali delle liste? No: sotto con la censura e la soppressione totale di qualunque straccio di spazio informativo non asservito nel nome nientemeno che dell’odiata par condicio! Se per una volta s’incazza e minaccia un clamoroso sciopero della lingua perfino Bruno Vespa devono averla combinata proprio grossa. In Italia abbiamo eversori che si permettono di invitare in trasmissione una prostituta per fargli domande sulle nottate passate con il presidente del consiglio, ed il figlio di un mafioso per chiedergli informazioni sulle misteriose origini di un impero multimiliardario: cosa non farebbe papino pur di riuscire a mettere un bavaglio a Santoro, a Travaglio e ad Annozero…