martedì 23 marzo 2010

Bragheheart nella palude dell'amore prezzolato

Noi ci saremmo anche accontentati delle risate fatte fino ad allora, ma la premiata compagnia comica del vecchio clown col suo patetico carrozzone dell’ “amore a pagamento che vincerebbe sempre sull’odio e sull’invidia” ( ma purtroppo non è così, altrimenti questa putrida palude nera che ci ammorba da un ventennio si sarebbe prosciugata da un pezzo) ha deciso di prolungare il suo spettacolino fino all’esilerante flop di piazza S Giovanni, teatro di un ristretto gregge di esaltati stipati fino all’inverosimile in uno spicchio di deserto e spacciati da un visionario cotonato ed allucinato nientemeno che per un milione di persone. Ma forse il devoto del signore e degli appalti stava parlando al telefono di terremoti ed alluvioni con qualche amico birbantello ed ha confuso le cifre dei presenti con quelle delle mazzette. Per una volta permettetemi però di dissentire dal grande maestro Eugenio Scalfari: il discorso di Chiavatar in effetti faceva veramente cagare, la peggiore delle sue patetiche repliche con tanto di stucchevoli domandine da televendita da sempre irrimediabilmente uguali a se stesse ( “Volete i comunisti mangiatori di bambini?” , “Volete pagare tante tasse?” , “Volete che finalmente mi sbattano in galera?”, “Volete censurare i programmi che osano rivelare che frequento puttane, corrotti e mafiosi? ”, con le comparse pronte ogni volta a rispondere: “beeee”), ma la piazza non era affatto migliore del suo protagonista, anzi se possibile era molto ma molto peggiore. Sabato i cittadini italiani potevano infatti scegliere di testimoniare a Milano in favore delle vittime della mafia, oppure di manifestare a Roma contro la privatizzazione dell’oro azzurro. Ebbene, queste sparute legioni assoldate per pochi euro o magari solamente con la promessa di una gitarella tutto compreso ( “Ai panini ce penza Arfredo”) , hanno scelto di schierarsi al fianco del “corruttore semplice” amico dei latitanti, dei pidduisti riciclati, dei mafiosi, delle escort e dei birbantelli dell’appaltino nonché censuratore impudente di trasmissioni televisive a lui sgradite (ma non ai circa sei milioni di spettatori di Santoro). “Voi con le procure noi con Berlusconi” recitava un gigantesco striscione in testa ad un corteo: potete dirlo forte!!! Ecco, tra le guardie ed i ladri invece questi qui hanno scelto i ladri: pessima scelta e pessima piazza, caro Eugenio, davvero pessima! Evidentemente innervosito dal megaflop della manifestazione, Cappuccio Cecchetto ha dato il meglio di se ( equivalente al peggio per qualunque altro essere umano esclusi La Rissa e Ca(pe)zzone) inventandosi di sana pianta, dopo le procure politicizzate, nientemeno che le questure rosse, definizione diventata ormai un cult tra tutti gli appassionati del genere trash. In effetti vista dall’alto la piazza faceva davvero impressione: un palco enorme situato nel bel mezzo del nulla e qualche decina di migliaia di comparse stipate tra due strettissime ali di gazebo. Ma nonostante tutto l’effetto televisivo (e con esso il beneficio elettorale) è comunque assicurato: effetti speciali stupefacenti faranno apparire la piazza magicamente simile ad un’oceanica adunata popolare, ed inoltre se assisterete al Minzogiornale indossando gli appositi occhialini godrete di un effetto tridimensionale così realistico che non facendo attenzione potreste anche rimediare un ceffone da La Rissa, inciampare su Brunetta o beccarvi uno schizzo di cerone in pieno volto. In tutto questo delirio la cosa più saggia l’ha detta incredibilmente Umbertino “ Bragheheart” Bragarossa: “Io sono l’unico a non aver mai chiesto soldi a Berlusconi! ”. A quel punto avranno sicuramente iniziato a fischiare le orecchie di tutti i presenti ancora in possesso dell’udito o di apparecchi acustici ancora funzionanti, a partire ovviamente dai presenti sul palco ( chissà quanto avrà sborsato il bisunto dal cerone per costringerli ad una pagliacciata misticheggiante ed umiliante come quel patetico giuramento: almeno un decennio di prese per il culo garantite!) per finire a buona parte delle comparse prezzolate sul parterre. Bisogna riconoscere che questi leghisti ex rivoluzionari conservano il gradevole sapore antico delle cose buone fatte in casa e che, come ogni gran vino che si rispetti, più invecchiano più diventano pregiati. Sono ormai il partito più arcaico sulla scena politica ed il solo udirli ancora oggi pronunciare, con fare masochistico e le dentiere sferraglianti, il loro caro, vecchio motto “Roma ladrona” ispira perfino tenerezza. Da giovani siamo tutti rivoluzionari, da adulti ci trasformiamo in moderati, invecchiando si finisce col diventare conservatori, e loro lo sono al punto tale da aver svenduto al padrone tutta la loro forza propulsiva per dedicarsi ad insignificanti battaglie di retroguardia quali la difesa del crocifisso nelle aule, la lotta al pericolosissimo burqua, la distribuzione di saponette anti immigrato, il giochino delle ronde, le carrozze per extracomunitari, la difesa della poltrona nel palazzo e l’apertura di qualche nuovo circolo bocciofilo. In tutti questi anni si sono sempre più incollati come cozze alle amatissime seggiolone capitoline, hanno lottizzato tutto il lottizzabile a partire dalla Rai, sono ricorsi con autentico furore a tutte le pratiche della vituperata prima repubblica, compreso ovviamente quel nepotismo sfrenato che porterà nelle liste elettorali nientemeno che la torta, sperando che gli elettori si dimostrino più clementi di tutti quei professori ( terroni?) che l’hanno bocciato a raffica. Si sono legati mani e piedi (venduti non per soldi, dice Bragheheart, ma solo in cambio di poltrone) a Berluskaz, il loro ex mafioso di Arcore, sono stati parte integrante dei governi più centralisti della storia repubblicana, si sono felicemente accasati a Roma esattamente come i barbari dei secoli scorsi, entrati nei confini dell’impero attratti dal suo splendore e dalla sua cultura e finiti per diventarne nella decadenza i più strenui difensori. Il buon Cota, più che un vigoroso guerriero gallico con la pozione magica, sembra un paffuto gattone del Colosseo intento a crogiolarsi “cor sorcio in bocca” beatamente sbracato su un capitello del Foro e sollazzato da un refrigerante ponentino. Recentemente i secessionisti ( dalla secessione) hanno abolito del tutto l’unica tassa federalista, l’Ici, hanno varato un decretino salva liste con il quale il governo centrale ha cercato di scavalcare le competenze regionali, hanno votato scudi e condoni a volontà, autentica manna dal cielo per mafiosi e camorristi di ogni ordine e grado, hanno governato a braccetto con gli amici dei birbantelli dell’appaltino senza riuscire a pronunciare neanche un semplice sospiro. In questi anni l’ unico tentativo di modifica dello stato in senso federalista ( probabilmente frettoloso e parzialmente fuori misura) l’ ha fato l’odiato governo Prodi con la modifica dell’articolo quinto, l’unico affondo in gran parte fallito contro corporativismi e burocrazie l’ ha tentato Bersani con le sue lenzuolate, trovando fiera opposizione nei camerati di Aenne, i paladini dei maneschi tassisti romani. E come se non bastasse hanno votato tutte le porcate “ad personam” del padrone, facendosi anche prendere per il culo con la mitica devolution, quella che tutti quanti, anche i bimbi dell’asilo nido, sapevano benissimo sarebbe stata affossata da un referendum popolare
Adesso, nonostante si apprestino a papparsi tutto il lombardo veneto e forse anche il Piemonte, appaiono più che mai i veri pretoriani dell’imperatore. Ecco se c’è una forza che si oppone alla caduta dell’ultimo residuato bellico della prima repubblica, il pidduisata amico di Bettino, di Mangano e di Dell’Utri nonché beneficiato all’ennesima potenza dalla vecchia ed odiata partitocrazia, questa è proprio la Lega Nord. Roma ladrona, dormi pure tranquilla e beata per almeno altri tremila anni: Bragheheart occhiutamente veglia su di te..