sabato 3 luglio 2010

E liberaci dal nano oscuro

LA PARABOLA DEL BUON ESRGASTOLANO
Grande euforia nel gregge delle impunità: aver spuntato una condanna a sette anni di galera (partorita dal grembo di una corte d’appello più materna e protettiva di un editoriale di Mastro Minzo, di una poesiola di Sandrino o di una massaggiatrice suggerita da Regina del Cacao Meravigliato) per un padre fondatore frequentatore abituale dei più pericolosi tra i boss di cosa nostra, di spacciatori di droga, di eroici ergastolani pluriomicidi e di feroci sicari scioglitori nell’acido deve essergli sembrato un autentico prodigio. Roba da far schiattare d’invidia l’altro vecchio attrezzo della triade arcoriana, quel fu ministro Cesarone già condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari grazie al denaro in libera uscita dall’arcipelago delle società off shore del corruttore semplice eternamente miracolato estratte dal cilindro magico dell’altro avvocato, quello inglese a sua volta corrotto e prescritto ( anche se Mastro Minzo vuole convincerci che è stato assolto). A noi comuni mortali che assistiamo sgomenti all’osceno tripudio dei vari Cappuccetto Cecchetto, Ca(pe)zzone e Bragheheart, resta solo il dilemma di cosa abbia finalmente redento il devoto di Mangano conducendolo infine sulla retta via nel corso del fatidico biennio ‘92/ ‘93. Erano gli anni in cui la prima repubblica implodeva per eccesso di malaffare, furoreggiava mani pulite in un clima di esaltazione collettiva, i corrotti facevano la fila davanti alle procure per confessare spontaneamente le loro malefatte, tintinnavano le manette, fischiavano gli avvisi di garanzia, rotolavano stimatissime teste, crollavano scintillanti carriere ed alcuni arrivarono perfino a togliersi la vita. Il compagno Achille iniziava a fantasticare sulla sua utopistica gioiosa macchina da guerra alla guida della quale sarebbe poi inesorabilmente finito per schiantarsi e Vittorio Feltri ancora sbavava per Antonio di Pietro. Nel frattempo missini e leghisti, pregustando praterie elettorali lungo le quali lanciarsi spregiudicati al galoppo, sventolavano cappi in parlamento ed inorridivano per la negata autorizzazione a procedere nei confronti Bettino ( oggi votano docilmente tutti i lodi del Signore, legittimo impedimento e le leggi bavaglio incluse) per poi precipitarsi al Raphael a scagliargli contro insulti e monetine. Ed infine, dulcis in fundo, ricominciavano ad esplodere le bombe. A proposito delle quali, partendo da piazza Fontana per arrivare a via Palestro passando attraverso piazza della Loggia, Italicus, stazione di Bologna, Capaci, via D’Amelio e via dei Georgofili, alcune conclusioni si possono trarre al di la di ogni ragionevole dubbio, e cioè che si tratta ogni volta di stragi nere, di stragi “di stato” ( “schegge impazzite” dello stato. “Antistato nello stato” da sempre alla ricerca di equilibri e convergenze parallele con tutte le mafie e le varie bande della criminalità organizzata, pronte ad offrire al massimo supporti logistici, materiali e bassa manovalanza) ed infine di stragi da sempre utilizzate con finalità politiche. Ma, cosa assai più importante ai fini della nostra parabola del buon ergastolano, il quegli anni il devoto di Mangano si decise finalmente a compiere il tanto atteso salto di qualità dedicandosi anima e corpo alla costruzione della nascente Forza Italia: da “cosa nostra” dunque a “cosa sua” ( di Silvio…). Con conseguente, meritatissima, promozione sul campo: da mafioso doc a berlusconiano ad honorem.

LA LEGGENDA DEL SANTO CORRUTTORE
Il padrone intanto pazzeggia per il mondo con al seguito la solita corte di nani, ballerine e nipotine in età prepuberale recitando stancamente i vecchi,volgarissimi spettacolini da basso cabaret itinerante. Recentemente pare sia stato avvistato in Brasile ove, dopo aver rivendicato i valori fondanti della sua religione (affari, figa e calcio: e poi qualcuno ancora si stupisce che vinca sempre alle elezioni!), ha sorprendentemente accantonato un ventennio di furore anticomunista rivendicando la solita “perfetta sintonia” stavolta nientemeno che con Lula, un tipo tutta barba, falce e martello, sindacato e lotta di classe. Se domani decidesse di fare una visita anche ai watussi , sicuramente riuscirebbe a convincerli di essere anche lui alto due metri (“Ghe pens mi”, in fondo gli basterebbe solo rialzare di mezzo metro i suoi tacchi..) . Dicono che al mondo nessun comunicatore sappia sintonizzarsi meglio di lui con i peggiori istinti, la panza e le viscere del paese. E che questi ogni volta gli rispondano in uno sgradevole tripudio di borborigmi: “Meno male che Silvio c’è”…


I PROMESSI ESPLOSI
In quella guerra per bande alla quale si è sorprendentemente abbandonato il gregge delle impunità spiccano in questo periodo le figure da pirla inanellate a ritmo di record da Bragheheart e dai suoi rissosi e fratricidi pretoriani in piena ansia da successione. Del resto, se esordisci atteggiandoti a rivoluzionario per poi trasformarti in cacciatore di poltrone, lottizzatore e nepotista peggio di un buon socialista d’annata non puoi essere altro che un pirla. E poi contro quale palazzo dell’odiato oppressore romano si scaglierebbero le fantomatiche armate dei secessionisti orobici scesi in marcia dalle mitiche valli padane, contro il ministero dell’interno della Repubblica Italiana saldamente in mano a tal Roberto Maroni da Varese, contro quello dell’economia capeggiato dal sapiente valtellinese Giulio Tremonti o magari contro i dicasteri veneti doc di Sacconi, Brunetta e Luca Zaia? Stringerebbero sotto assedio il ministro delle riforme ( il mitico Bragheheart in persona!), quelli della pubblica istruzione e del turismo ( le avvenenti lombarde Gelmini e Brambilla), o magari direttamente palazzo Grazioli, correndo così il rischio di far incazzare sul serio il padrone brianzolo per avergli mandato a puttane (letteralmente) il solito festino? Se per anni spari a pallettoni contro Berluskaz il mafioso di Arcore per poi trasformarti nel suo cagnolino da guardia più fedele, pronto a votargli docilmente in parlamento tutte le porcate finalizzate all’impunita sua e di tutta la cricca di delinquenti spingendoti al punto di ironizzare perfino su un reato come il concorso esterno in associazione mafiosa ti qualifichi sempre più come un pirla. Se ti atteggi a ruvido sceriffo per poi accanirti solo contro barboni, morti di fame e ladri di polli porgendo al contempo terga e completa copertura giudiziari a tutte le malefatte dei potenti di Roma Ladrona sei un pirla all’ennesima potenza. Se sbraiti a Pontida contro “Roma ladrona che chiude i rubinetti alle regioni” dimenticando che la manina galeotta appartiene ad un unico individuo ben noto a tutti, Giulio Tremonti, sei pirla ed anche molto smemorato. Se ti fai prendere per il culo dal signore con la mitica “devolution” inesorabilmente ed inevitabilmente impallinata dal referendum e poi ti riduci a combattere piccolissime battaglie di retroguardia a base di piscio sulle moschee, rimbalza il clandestino, ronde padane, guerre del crocifisso, lotta al burqua, all’inno e tifo contro la nazionale, con tanto di adolescenziali sgambetti all’odiata città eterna quali il pedaggio sul grande raccordo anulare e la guerra al gran premio dell’Eur ed alla candidatura olimpica, sei un pirla ed anche un po’ sfigato. Se sei ormai il più vecchio tra i partiti della seconda repubblica, avvezzo alle più disdicevoli pratiche dell’antica partitocrazia, non solo sei un pirla ma anche un traditore dei tanti elettori che in buona fede da anni credono in te e nei tuoi (presunti) valori, contribuendo col loro voto a metterti l’amata poltrona romana sotto il culo. Insomma se sei ormai a tutti gli effetti tu la vera Roma Ladrona una sola secessione puoi ancora permetterti: quella da te stesso…