sabato 14 agosto 2010

La villa delle libertà

Se un’alta carica dello stato deve dimettersi per un appartamentino monegasco arredato dal mobilificio Castellucci cosa dovremmo aspettarci da una bassa discarica in possesso di una villa del diciottesimo secolo con ampia tenuta, stalle, riserva di caccia, biblioteca privata, affreschi del Tiepolo e del Tintoretto e la solita vagonata di scheletri negli armadi delle centoquarantacinque stanze ( una per ogni escort)?
Oggi non facciamo satira, ne esprimiamo opinioni. Ci limitiamo a raccontare brevemente una torbida vicenda a beneficio di tutti coloro che ancora non ne fossero a conoscenza, visto che non la troveranno di certo neanche accennata nella pattumiera dei sicari pennivendoli e telebani asserviti al padroncino.

Dunque, nel lontano 1970 l’ennesima storiaccia di passioni, tradimenti e sangue sconvolse il nostro paese nel pieno dei suoi anni di piombo: il marchese Camillo Casati Stampa, membro della famiglia proprietaria di villa San Martino, uccise la moglie Anna Fallarino e l’amante, poi si suicidò. Ebbe così inizio una vera e propria baruffa per l’eredità: a contendersela la figlia minorenne Annamaria ed i parenti della nobildonna assassinata assistiti da un giovane legale di belle speranze, tale Cesare Previti. Con in ballo un avvocato di questo livello (infimo) ovviamente la spuntò la minorenne. Ma lo spregiudicato azzeccagarbugli pensò bene di saltare subito il fossato e convinse la sprovveduta a farsi assumere come suo rappresentante. La fanciulla gli diede così mandato di vendere la villa per potersi pagare le tasse di successione, specificando però di voler mantenere tra le sue proprietà gli arredi, la pinacoteca, la biblioteca ed i terreni circostanti. Poco tempo dopo saltò fuori un misterioso acquirente nanerottolo ed un po’ pelato che guarda caso la spuntò grazie ai buoni uffici del solito Cesarone (il quale, ricordiamolo bene, avrebbe dovuto tutelare la minorenne) per un prezzo davvero irrisorio: cinquecento milioni di vecchie lire, inclusi ovviamente arredi, pinacoteca biblioteca e terreni circostanti. L’utilizzatore finale prese possesso del bene nel 1974 ma la vendita fu concretizzata nel 1980, e nel corso di tutti quegli anni la povera minorenne continuò pure a pagare le tasse su quella villa che gli era stata praticamente fottuta dal nanetto: riteniamo che lei non figuri nella batteria delle minorenni avvezze a chiamarlo papi. La povera e sprovveduta fanciulla ovviamente non sapeva che il suo rappresentante (!) Cesarone ed il futuro leader dell’amore andavano d’amore e d’accordo al punto che alcuni anni dopo, assieme, a Marcellino mafia e vino, avrebbero perfino fondato una specie di partito azienda al fine di salvarsi dai debiti, sfuggire alla galera e dare piena rappresentanza al loro elettorato di riferimento orfano del caf: i delinquenti. Ma, come racconta Alexander Stille, quando c’è di mezzo certa gente al peggio non c’è mai fine: nel 1979 il duo acquistò un altro pezzo dell’eredità dei Casati Stampa, una proprietà di 246 ettari a Cusago, pagandolo con una quota della miriade di società fantoccio già allora tanto care al cainano, cosicché quando la Casati Stampa provò a liquidare la propria parte non poté che rivenderla a papino stesso ad un prezzo dimezzato rispetto al valore originale: a quel punto pensò bene di scaricare Cesarino. Come nel caso dei finiani, meglio tardi che mai e… se li conosci li eviti..Nel frattempo il comune (benedetta politica) modificò la destinazione di gran parte dei parchi e terreni agricoli in questione ed il cainano poté cementificare senza pietà. Ecco l’uomo che si è fatto da solo…assieme a piduisti, politici corrotti della prima e della seconda repubblica, avvocati e giudici in busta paga ed amici dell’eroico Mangano. Il resto è cosa nota: invece di essere inesorabilmente radiato dall’albo professionale il potentissimo Cesarino diventò politico di rango al punto di sfiorare perfino il ministero della giustizia (!!!) per finire poi a quello della difesa. Poi si è beccato una condanna in cassazione per corruzione nella faccenda Imi Sir- Lodo Mondadori: poveretto, in fondo lui aveva solo corrotto un giudice con i sodi di papi per consegnare a papi nientemeno che la Mondadori. Lo stesso papi che adesso reclama a gran voce le dimissioni di Fini e commissiona un massacro a mezzo stampa ai suoi sicari e schiavetti:ecco perché nonostante il cerone, il bitume, i lifting ed i trapianti facciamo fatica ad identificarlo, quella che vediamo non è la faccia ma il culo! Se Fini dovesse lasciare la presidenza della camera per la pagliuzza della casetta, a lui con tutte le sue travi non resterebbe che buttarsi nella tazza di uno dei cinquantasei cessi della villa rinascimentale. Per poi chiedere ai vari Bondi, La Russa, Capezzone, Bossi e Cicchitto di mostrare finalmente a tutti i cittadini il loro senso dello stato: tirando la catena