sabato 21 maggio 2011

Puttankamon

Dicono che martedi mattina la Moratti si sia messa davanti allo specchio e si sia subito rovinata la giornata: aveva visto Berlusconi. In effetti dalle parti del primo premier di letto e di (mal) governo, tira davvero una brutta aria: che sia proprio lui quello che non si lava? Il flusso neuroendocrino dei suoi mediatori impazziti da tempo segna tempesta: la bugiarda e scorrettissima mamma di Batman nonchè protetta da batt-man manterrà infatti intatte tutte le sue possibilità di spuntarla al secondo turno ( grazie soprattutto alla terrificante visione di barbuti talebani coltivatori di papavero sul palco della Scala in una Milano post atomica nella quale fiumi di droga scorrono al posto del viagra e del cerone mentre orde di zingari e cosacchi amici dei piemme dissetano le loro bestie immonde nell’acqua sacra dei navigli all’ombra di un’imponente mosche eretta al posto del Duomo, scenario apocalittico solo in parte addolcito dalla speranza di veder scomparire per sempre Mestizia assieme all’odiosa Fascianchè sotto un bel burqua griffato Prada), ma per Berfagor, il fantasma dell’Orgettina, la sconfitta risulta inappellabile e definitiva: si era ridotto ad elemosinare voti sulla scheda elettorale come un povero mendicante per ritrovarsene poi nel cappello esattamente la metà di quelli che aveva nelle precedenti comunali. Così dopo una campagna elettorale visionaria, sociopatica e paranoica che ha finito per tramortire quegli stessi elettori dell’amore dei quali Chiavatar abusa emotivamente da anni, dalla città culla (un secolo fa) del berlusconanismo un clamoroso ed imprevedibile “fora dai ball” si è stampato proprio sul faccione variopinto e rifatto (ma allora è lui quello che quando si guarda allo specchio s’ incazza!) del migliore degli ultimi tre secoli. Ora: uno psicoleader con quattro processi penali ed uno civile a carico alla guida di una zattera che galleggia grazie ad un pugno di impresentabili mercenari voltagabbana ed inseguito da schiere di escort affamate di bustarelle e poltrone da consigliere regionale che vedesse dimezzati i suoi consensi personali verrebbe immediatamente messo alla porta dal suo stesso partito se non fosse che, come è noto, per i pallidi maggiordomi in camiciola bianca, nera e verde e per tutte le pecorelle belanti del “meno male che Silvio c’è” quando le cose vanno male sono gli elettori che sbagliano, non certo i sondaggi.
Nel panico del dopo big bung ed in attesa dell'inevitabile diluvio mediatico ecco così le formiche impazzite esternare su fantomatici pareggi con argomenti quanto meno stravaganti ( chissà perché allora almeno per una volta siamo noi ad essere allegri mentre a loro rode terribilmente il culo), un po’ come quell’allenatore che nell’intervallo si ritrova malauguratamente in svantaggio ma dichiara che in fondo senza quei due pallini si starebbe ancora sullo zero a zero rischiando così un esonero immediato con successivo trattamento sanitario obbligatorio. Nel frattempo quel vecchio 33 giri incantato di Cappuccio Cicchitto ( la cui attività elettrica cerebrale si è irrimediabilmente sclerotizzata ad Hammamet) intonava la solita parabola truffaldina della sinistra malvagia pronta ad abbattere per via giudiziaria il leader più amato dal popolo sovrano ( ma solo quando conviene a loro), malauguratamente smentito ancora una volta proprio dal più attendibile dei testimoni: il popolo. In effetti Cappuccetto Rosso sangue non ha tutti i torti: è cosa nota infatti che fu la Bocassini travestita da Lele Mora a recapitare l’adolescente Ruby per ben 14 notti nell’alcova affollata dell’utilizzatore finale, a suggerirgli che fosse la nipote di Mubarak ed a spingerlo infine a quella devastante telefonata grazie alla quale la pecorella minorenne smarrita finì nell’unico posto al mondo nel quale non sarebbe mai dovuta andare: a casa di una zoccola brasiliana accompagnata dall’igienista genitale personale di Puttankamon.

Ma come è noto Milano è una città moderata e ad uno che quando aveva i calzoncini corti rubava macchinine e frequentava pericolosi estremisti ne preferirà sempre un altro che si destreggia con assoluta disinvoltura tra campioni di sobrietà e moderazione quali Brusca, Dell’Utri, Mangano, Previti e Cosentino, che ammucchia orgettine a strati nel lettone di Putin, bacia le mani a Ghedaffi il giorno prima di bombardarlo e solletica con un pizzico di invidia il consenso notoriamente democratico del tiranno bielorusso. Nel frattempo, mentre quel gran figlio della prima repubblica di Lassini (sospinto nell’oblio elettorale dall’abbraccio mortale del mefitico Sallferatu e subito volgarmente scaricato dal suo mentore ispiratore) pur di risparmiare i soldi del biglietto si è imbucato nel pullman del Milan, la bugiardona in tailleur si è beccata anche la contestazione dei disabili. Subito il camerata da balera La Rissa ( a proposito, chissà chi frequentavano i fascio camerieri con poltrona incorporata negli anni settanta…) si è scagliato bava alla bocca contro i sindromici politicizzati, lo strapotere delle carrozzelle rosse ed i cateteri ad orologeria urlando ai quattro venti che giammai Milano finirà in mano ai paraplegici, cosa che ha contribuito a rabbuiare ancora di più l’umore già tetro del povero Bossi. Il quale notoriamente sfoggia il suo fiuto da politico di razza fin da quando, giovane rivoluzionario secessionista in braghe e canotta, finì per allearsi col figlioccio prediletto del caf. Quindi lo sgambettò con un bel ribaltone per abbandonarsi docilmente tra i baffetti di D’Alema. Iniziarono poi gli anni ruggenti del Berluskaz mafioso di Arcore, quello stesso (udite, udite) con il quale si è ben presto riappacificato nel corso di una romantica cenetta con rutto libero ( annaffiata, secondo i maligni, anche da qualche bella bustarella) per trasformarsi infine nel pretoriano di ferro di Roma ladrona, nell’apostolo dell’impunità dei potenti nonchè sacro templare di tutte le cricche. Lo straordinario risultato è che oggi nella sua presunta capitale conta tanti voti quanti Grillo e Di Pietro messi assieme, cioè un terzo di quelli di Bersani, mentre a Roma amoreggia con Cosentino, Mastella, Pionati, Dell’Utri e Scilipoti: non c’e dubbio che per il mitico leader della Borbonia si stia aprendo ufficialmente un’enorme questione settentrionale.

I milanesi, gente saggia operosa e concreta da sempre, ne hanno evidentemente piene le balle di barcamenarsi tra la mamma di Batman, la nipote di Mubarak e le Br in procura ed hanno voglia di ricominciare a respirare aria pulita e magari di mangiare una mela che sappia finalmente di mela e non di qualcos’altro. Così qualche buontempone ha iniziato beffardamente a raccontare anche lui vecchie e polverose barzellette, magari riadattandole ai tempi moderni: “Osteria numero sette, il salame piace a fette. Ma alla Ruby caso strano il salame lo da il nano”. Oppure, continuando sullo stesso genere: ”Osteria del cimitero è successo un fatto nero: pochi cadaveri putrefatti hanno votato per la Moratti”. E mentre Bragheheart, per dimostrare che anche secondo gli inventori del rimbalza il clandestino e gli innaffiatori di moschee con urina di porco l’amore vince sempre sull’odio e sull’invidia, da del matto al povero Pisapia sottolineando il tutto con un bel grugnito ( o forse sarà stata la solita pernacchia?) siamo in fremente attesi della prossima pagliacciata con tanto di giuramenti mistici, mortaretti elettorali, domandine retoriche ed inevitabile coretto finale: “Meno male che Silvio c’e”. Che, almeno per una volta, accoglieremo con il cuore colmo di gratitudine rispondendo tutti assieme gioiosamente: “ Osteria del gallo d’oro, è uno stronzo che fa il coro”…